CHARLIE
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CHARLIE
CHARLIE
George Charles era un uomo rispettabile. Rientrava in tutti i valori della rispettabilità: aristocratico, ogni sera frequentava il Cuntry Club, dove giocava a golf con Jonathan Forbes e James Richards, due proprietari terrieri; la sera, dopo cena, frequentava il salotto economico dell'amico nonchè industriale Jack Smith Ford. Fumava sigari, vestiva di tweed, portava sempre il cilindro. La domenica andava a Messa, e si dedicava ad opere di filantropia.
Quella sera la luna era piena. Forse una particolare e millenaria congiunzione astrale portò George Charles a dimenticare il suo foulard presso il Country Club.
-Oh, cielo!- esclamò, durante la cena, a sè stesso, o alla cameriera e cuoca, Mary.
-La cena non è di suo gradimento, signore?- rispose lei, con reverenza.
-No, no... la cena è perfetta, come sempre, Mary- , e gli sfuggì un sorriso, che non le aveva mai rivolto in vita sua. Tossicchiando, tornò alla sua caratteristica serietà: -Ho stupidamente dimenticato il mio foulard al Country Club, oggi pomeriggio. Mi chiamerebbe Joe, chiedendogli di preparare una carrozza entro le nove?-
-Subito, signore- rispose lei, con un lieve inchino.
-Grazie, Mary-. Lei si allontanò dopo qualche secondo, interdetta.
George Charles non aveva mai pronunciato il suo nome da quando l'aveva assunta. Aveva sempre suonato il campanello.
La carrozza si muoveva placida lungo le vie della città. I lampioni illuminavano i marciapiedi, in prossimità dei quali erano visibili ampi porticati lussuosi.
-Signore, - disse Joe, -imbuco qui la sua lettera. Arrivo subito.- .
-Ah, grazie, Joe-. Era già un giorno di ritardo, con la corrispondenza. Quando Joe imbucò la lettera, George Charles si sentì meglio. Ma furono due eventi separati, e indipendenti.
-Buonasera...- . Una voce femminile di fianco al finestrino lo fece sobbalzare. Una giovane donna, nera, era sbucata da una sottile e buia via.
Lui non reagì. La donna si preoccupò d'un tratto.
-...Signore? Si sente bene?- .
Lui sembrò risvegliarsi da uno shock. -Eh... sì,sì,certo... che... cosa... desidera?- . In quel momento, per la prima volta in vita sua, George Charles sentì di aver detto una cosa molto stupida.
-Tesoro, cosa desidero? Scendi, e seguimi, che te lo dico... - , e gli sorrise. Sensuali labbra carnose lasciarono vedere un sorriso bianco e luminoso.
George Charles capì. La donna era vestita in maniera molto provocante, decisamente poco aristocratico.
Non gli era mai successo.
-Ma lei... lei è... una...- provò a chiederle. Non riusciva a guardarla negli occhi.
-...Una? Mi dica, cosa sono?- rispose lei, sempre con una voce profonda e sensuale.
-...una... donna...- . George Charles iniziò a gesticolare con le mani, cercando di rendere la questione ovvia.
-Sì, sono una donna-.
-Ma... una... donna... - . Raccolse tutto il suo coraggio. -...di strada?- . Lei lo fissò per qualche secondo.
-Sono Eva-.
-Eva? ... Bel... bel nome, sì- . Lei sorrise.
-Senti... come ti chiami?-
-George. George Charles-. Automaticamente, pronunciando il suo nome e facendo le sue presentazioni, tirò su le spalle e il petto in fuori, e si schiarì la voce per dire: -Direttore di banca, laureato all'università di Cambridge, nonchè mecenate del noto artista Dan Moers-.
Eva lo guardava in modo molto divertito. E infatti, scoppiò a ridere.
-Qualcosa la fa divertire, signorina Eva?- . Questo la fece ridere ancora di più. Una risata grassa, allegra, quasi da mal di pancia. Si asciugò le lacrime.
-Signorina Eva? Nessuno mi aveva chiamato "signorina"... -
-E come la chiamano di solito?- . Poi, si rese conto di aver detto un'altra cosa stupida. -Oh...mi scusi,io... non volevo...-
-Non preoccuparti , Charlie- .
Charlie... Charlie... .
Era il lontano tempo della sua infanzia. Una comunione. Sole, un prato verde smeraldo, bianchi tavoli, leggera musica. Risate di bambini. Camerieri, cocktails. -Charlie, vieni a giocare!- . Eva, quella bambina tanto simpatica, ma che non voleva mai farsi vedere da papà nè da nessuno dei suoi amici.
George Charles guardò finalmente Eva negli occhi. Capì quello che da piccolo aveva trovato così incomprensibile, e che aveva attribuito alla mentalità contorta delle femmine, e che poi aveva dimenticato.
-...Eva... ma perchè?- . Lei lo guardò intensamente.
-...E' la vita, Charlie. Addio- . E come comparì, così scomparì.
George Charles guardò fuori dal finestrino.
-Eva! Eva!Aspetta!-. Nessuna risposta. Scese dalla carrozza e cercò nelle vicinanze. Nulla. Sparita.
-Signore!- lo chiamò Joe. George Charles si voltò verso di lui.
-Arrivo!- . Salì di nuovo sulla carrozza, e andò a casa.
Quella sera non andò al salotto.
-Mary!-
-Sì, signore?- . Lui la guardò.
-Si sieda-. Le spostò la sedia. Mary sembrava interdetta.
-...Ma, signore, io...-
-Sieda, Mary. Beva del vino qui con me, mi faccia compagnia. Lavora qui da tanti anni,e di lei non so niente. Mi racconti di lei. -.
Versò del vino in due calici, che andò a prendere personalmente. Mary sembrò molto imbarazzata e spiazzata, ma iniziò a raccontare, finchè non si lasciò andare, sfogandosi e narrando di meravigliose storie di vita, che George Charles, prima di quella sera, non aveva mai nemmeno sognato.
Andarono a dormire solo alle due del mattino. E George Charles divenne un'altra persona.
George Charles era un uomo rispettabile. Rientrava in tutti i valori della rispettabilità: aristocratico, ogni sera frequentava il Cuntry Club, dove giocava a golf con Jonathan Forbes e James Richards, due proprietari terrieri; la sera, dopo cena, frequentava il salotto economico dell'amico nonchè industriale Jack Smith Ford. Fumava sigari, vestiva di tweed, portava sempre il cilindro. La domenica andava a Messa, e si dedicava ad opere di filantropia.
Quella sera la luna era piena. Forse una particolare e millenaria congiunzione astrale portò George Charles a dimenticare il suo foulard presso il Country Club.
-Oh, cielo!- esclamò, durante la cena, a sè stesso, o alla cameriera e cuoca, Mary.
-La cena non è di suo gradimento, signore?- rispose lei, con reverenza.
-No, no... la cena è perfetta, come sempre, Mary- , e gli sfuggì un sorriso, che non le aveva mai rivolto in vita sua. Tossicchiando, tornò alla sua caratteristica serietà: -Ho stupidamente dimenticato il mio foulard al Country Club, oggi pomeriggio. Mi chiamerebbe Joe, chiedendogli di preparare una carrozza entro le nove?-
-Subito, signore- rispose lei, con un lieve inchino.
-Grazie, Mary-. Lei si allontanò dopo qualche secondo, interdetta.
George Charles non aveva mai pronunciato il suo nome da quando l'aveva assunta. Aveva sempre suonato il campanello.
La carrozza si muoveva placida lungo le vie della città. I lampioni illuminavano i marciapiedi, in prossimità dei quali erano visibili ampi porticati lussuosi.
-Signore, - disse Joe, -imbuco qui la sua lettera. Arrivo subito.- .
-Ah, grazie, Joe-. Era già un giorno di ritardo, con la corrispondenza. Quando Joe imbucò la lettera, George Charles si sentì meglio. Ma furono due eventi separati, e indipendenti.
-Buonasera...- . Una voce femminile di fianco al finestrino lo fece sobbalzare. Una giovane donna, nera, era sbucata da una sottile e buia via.
Lui non reagì. La donna si preoccupò d'un tratto.
-...Signore? Si sente bene?- .
Lui sembrò risvegliarsi da uno shock. -Eh... sì,sì,certo... che... cosa... desidera?- . In quel momento, per la prima volta in vita sua, George Charles sentì di aver detto una cosa molto stupida.
-Tesoro, cosa desidero? Scendi, e seguimi, che te lo dico... - , e gli sorrise. Sensuali labbra carnose lasciarono vedere un sorriso bianco e luminoso.
George Charles capì. La donna era vestita in maniera molto provocante, decisamente poco aristocratico.
Non gli era mai successo.
-Ma lei... lei è... una...- provò a chiederle. Non riusciva a guardarla negli occhi.
-...Una? Mi dica, cosa sono?- rispose lei, sempre con una voce profonda e sensuale.
-...una... donna...- . George Charles iniziò a gesticolare con le mani, cercando di rendere la questione ovvia.
-Sì, sono una donna-.
-Ma... una... donna... - . Raccolse tutto il suo coraggio. -...di strada?- . Lei lo fissò per qualche secondo.
-Sono Eva-.
-Eva? ... Bel... bel nome, sì- . Lei sorrise.
-Senti... come ti chiami?-
-George. George Charles-. Automaticamente, pronunciando il suo nome e facendo le sue presentazioni, tirò su le spalle e il petto in fuori, e si schiarì la voce per dire: -Direttore di banca, laureato all'università di Cambridge, nonchè mecenate del noto artista Dan Moers-.
Eva lo guardava in modo molto divertito. E infatti, scoppiò a ridere.
-Qualcosa la fa divertire, signorina Eva?- . Questo la fece ridere ancora di più. Una risata grassa, allegra, quasi da mal di pancia. Si asciugò le lacrime.
-Signorina Eva? Nessuno mi aveva chiamato "signorina"... -
-E come la chiamano di solito?- . Poi, si rese conto di aver detto un'altra cosa stupida. -Oh...mi scusi,io... non volevo...-
-Non preoccuparti , Charlie- .
Charlie... Charlie... .
Era il lontano tempo della sua infanzia. Una comunione. Sole, un prato verde smeraldo, bianchi tavoli, leggera musica. Risate di bambini. Camerieri, cocktails. -Charlie, vieni a giocare!- . Eva, quella bambina tanto simpatica, ma che non voleva mai farsi vedere da papà nè da nessuno dei suoi amici.
George Charles guardò finalmente Eva negli occhi. Capì quello che da piccolo aveva trovato così incomprensibile, e che aveva attribuito alla mentalità contorta delle femmine, e che poi aveva dimenticato.
-...Eva... ma perchè?- . Lei lo guardò intensamente.
-...E' la vita, Charlie. Addio- . E come comparì, così scomparì.
George Charles guardò fuori dal finestrino.
-Eva! Eva!Aspetta!-. Nessuna risposta. Scese dalla carrozza e cercò nelle vicinanze. Nulla. Sparita.
-Signore!- lo chiamò Joe. George Charles si voltò verso di lui.
-Arrivo!- . Salì di nuovo sulla carrozza, e andò a casa.
Quella sera non andò al salotto.
-Mary!-
-Sì, signore?- . Lui la guardò.
-Si sieda-. Le spostò la sedia. Mary sembrava interdetta.
-...Ma, signore, io...-
-Sieda, Mary. Beva del vino qui con me, mi faccia compagnia. Lavora qui da tanti anni,e di lei non so niente. Mi racconti di lei. -.
Versò del vino in due calici, che andò a prendere personalmente. Mary sembrò molto imbarazzata e spiazzata, ma iniziò a raccontare, finchè non si lasciò andare, sfogandosi e narrando di meravigliose storie di vita, che George Charles, prima di quella sera, non aveva mai nemmeno sognato.
Andarono a dormire solo alle due del mattino. E George Charles divenne un'altra persona.
laretta- Inchiostro Verde
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