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Il baco e la farfalla (capitolo 28)

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Messaggio Da Diego Repetto Lun 14 Ott 2013, 14:53

Ottobre 1968

Luca nacque all’inizio di ottobre, qualche settimana in anticipo rispetto alla data indicata dal ginecologo.
A quei tempi non era permesso ai padri di assistere al parto e attesi la nascita di mio figlio in un bar vicino all’ospedale. Ogni due o tre ore mi alzavo, raggiungevo il reparto maternità e domandavo all’infermiera se c’erano novità. Per ben quattro volte ritornai al bar. Alla televisione stavano trasmettendo le gare delle olimpiadi di Città del Messico. Un’immagine in particolare mi era rimasta impressa, quella di Tommie Smith e John Carlos con il pugno sollevato avvolto in un guanto nero durante la cerimonia di premiazione dei quattrocento metri. Protestavano per le condizioni di discriminazione dei neri nel loro paese, gli Stati Uniti d’America, paese in cui, nell’aprile di quello stesso anno, era stato assassinato Martin Luther King. Il loro era un segno di protesta anche nei confronti della repressione che il governo messicano aveva attuato nei confronti delle manifestazioni studentesche, repressione che era culminata con la strage della Piazza delle Tre Culture il 2 ottobre, nella quale un centinaio di studenti erano stati ammazzati a sangue freddo dalla polizia. Smith e Carlos pagarono a caro prezzo quel gesto. Una lunga squalifica comminatagli dalla federazione internazionale mise fine alla loro carriera di atleti. Quando il ginecologo ci informò che si trattava di un maschietto, con l’immagine di alcune ore prima ancora in testa, proposi a Sara di aggiungere Tommaso, la traduzione in italiano di Tommie, a Luca, il nome che avevamo scelto.
Lomellini mi concesse due settimane di ferie per restare a casa e aiutare Sara con il piccolo. In realtà Sara non mi faceva fare molto, a parte la spesa e qualche piccola faccenda domestica. Ritornai quindi a lavorare qualche giorno prima del previsto e ad aspettarmi trovai l’ultimo modello uscito quell’anno dagli stabilimenti dell’Alfa Romeo, una splendida Alfa 1750 nuova di zecca che Lomellini si era appena regalato per il compleanno.
Il lavoro d’autista iniziò poco a poco a farsi sempre più pesante, soprattutto perché le lunghe assenze da casa diventarono ben presto fonte di violente discussioni con Sara. Nonostante stessimo a Milano da oltre sei mesi, non si era ancora adattata alla grande città, non conosceva molte persone e quando restavo via per parecchi giorni, a volte anche per un’intera settimana, si sentiva terribilmente sola. Aveva nostalgia del caldo clima pugliese, la innervosiva il ritmo frenetico della metropoli rispetto a quello molto più tranquillo e in armonia con la natura del suo paese d’origine. Le mancava inoltre la sua famiglia. Aveva telefonato un paio di volte a casa per ricevere un po’ di conforto, ma entrambe le volte era stata lei a dover consolare la madre in lacrime. Il padre invece si rifiutava ancora di parlarle.
L’avevo convinta a studiare per prendere la licenza media superiore. Senza un diploma difficilmente avrebbe potuto trovare un buon lavoro in futuro, quando Luca avesse iniziato ad andare all’asilo. Il figlio di Lomellini, che aveva seguito le orme del padre e si era da poco laureato in ingegneria, l’aiutava con matematica e scienze. Con italiano, storia e geografia ce la cavavamo per conto nostro. Il tempo che poteva dedicare allo studio però non era molto ed era in notevole ritardo sul programma che avevamo preparato.
“Impiegherò secoli per arrivare a superare l’esame” si sfogò una sera.
“Non importa quanto ci metterai, conta il risultato. Vedrai che ce la farai” la rassicurai.

Ad Arese, poco distante da Milano, c’era un istituto per ragazzi ai quali genitori era stata temporaneamente sospesa la patria potestà. Lomellini era amico del direttore e quando aveva un po’ di tempo libero si faceva accompagnare a visitarlo. Venni a sapere che aiutava economicamente l’istituto. Finalmente avevo trovato un punto in comune tra Marco e la signora Milton, uno spirito filantropico nei confronti di ragazzi sfortunati. Lomellini mi spiegò che aveva iniziato ad interessarsi del centro da quando un giorno aveva udito un ragazzo confessare a un altro: il paradiso non so se c’è, l’inferno sì, è come casa mia!
Ci stavamo dirigendo verso Arese, percorrendo una strada secondaria che attraversava un bosco di lecci ormai spogli. Mi schiarii la voce.
“So che quello che ti sto per chiedere non ti farà piacere, ma ne va della mia famiglia. Vorrei non doverti più accompagnare nei tuoi viaggi più lunghi. Se si tratta di stare via qualche giorno non c’è problema, ma se mi assento da casa per più tempo per Sara diventa insopportabile. È difficile per lei, lo sai”.
Rimase per un po’ sovrappensiero.
“Farò a meno di te negli spostamenti più lunghi. Prenderò l’aereo e noleggerò un auto sul posto”.
Se non fosse che stavo guidando, me lo sarei abbracciato.
“Grazie Marco, grazie davvero”.

Diego Repetto
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