Letteratura commerciale
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Letteratura commerciale
Apro questa discussione perchè, mi sembra di comprendere, in questo forum le posizioni a riguardo di chi "scrive per vendere" sono estremamente radicali: da un lato, vi sono coloro che aspirano all'arte per l'arte, alla Letteratura, ecc., e sputano sui bestsellers; dall'altro, coloro che beatificano chiunque abbia la capacità di superare le 20000 copie. Io mi sentirei invece di proporre una posizione "centrista", che vado ad esporvi.
In linea generale, per gli "scrittori commerciali" o "professionisti", come li chiamo io, ho una vasta se non vastissima ammirazione. E', per così dire, gente che lavora; che ha tecnica, ritmo e padronanza di struttura; in una frase, gente che conosce il suo mestiere. Molti (Forsyth, LeCarrè) si avvalgono di un team per le ricerche storico-bibliografiche. Altri attingono alla loro vasta cultura personale (Graves, Rutherford). Qualcuno scrive particolarmente bene (adoro Rex Stout!); qualcuno particolarmente male (Graves, nonostante fosse un poeta più che discreto e un interessante saggista di nicchia, come narratore rasenta l'indecenza...). Tutti, comunque, fanno "fatica" e meritano rispetto.
Il mondo anglosassone conosce poi un secondo genere di "scrittore commerciale", che io definisco "scrittore medio" (e a cui, incidentalmente, sognerei di appartenere...): uno scrittore, cioè, non troppo profondo, dalle trame però solidissime e avvincenti e dallo stile solido e pacato. Uno scrittore che, senza volare verso vette inaccessibili, scrive però buoni, solidi romanzi, piacevoli per chiunque e, sopratutto, leggibili a più di un livello (affascinanti per un lettore "rozzo" così come per uno "esperto"). Qualche nome? Somerset Maugham, Daphne de Maurier, Rumer Godden... D'accordo, sono scrittori anni '30-'50. Però Joanne Harris è attuale, e la vedo perfettamente ascrivibile alla categoria.
E' sotto quest'ultimo profilo che la situazione italiana mi pare particolarmente disastrosa. Noi abbiamo buoni o discreti scrittori commerciali di genere (Camilleri, Lucarelli, Carofiglio, e infiniti altri che non mi vengono in mente...), ma gli scrittori "medi", decisamente, ci mancano. Qualcosa di decoroso si muove forse sotto il profilo del "romanzo storico moderno" (penso alla biografia romanzata di Tintoretto della Mazzucco, o all'ultimo della Morazzoni) ma non è ancora abbastanza. Certo il nostro accentuato regionalismo è un grosso problema: come si fa a scrivere una storia "universale" in un paese in cui le atmosfere, i sapori, i modi di parlare, di comportarsi, di relazionarsi con gli altri sono così diversi? Ma insomma, non è poi una questione insormontabile. Il problema vero - quello che fa imbufalire me come, probabilmente, molti di noi - è invece la crescente, disastrosa predilezione dei nostri compatrioti per romanzi la cui professionalità, francamente, mi sfugge (poichè trama, stile e tecnica tutto sono fuorchè solide) e la cui unica caratteristica dominante mi sembra essere alternativamente o la (descrizione della) lagna o (la descrizione de) il degrado. Alcuni degli autori di questi bestsellers, poi, invece che limitarsi a festeggiare i loro invidiabilissimi successi, si lamentano a gran voce di non essere considerati dalla critica come quei grandi artisti che invece sarebbero secondo la loro alterata percezione - il che potrebbe farci sorridere, se non fosse che anche questo contribuisce alla percezione di "paese culturalmente impazzito" che chiunque di noi ha.
Il problema, comunque, va affrontato. Da chi? Da noi, in primo luogo, come produttori di libri. So di avere delle posizioni "antiquate", ma credo che sia necessario tornare all'idea di "educazione" del gusto del lettore...
In linea generale, per gli "scrittori commerciali" o "professionisti", come li chiamo io, ho una vasta se non vastissima ammirazione. E', per così dire, gente che lavora; che ha tecnica, ritmo e padronanza di struttura; in una frase, gente che conosce il suo mestiere. Molti (Forsyth, LeCarrè) si avvalgono di un team per le ricerche storico-bibliografiche. Altri attingono alla loro vasta cultura personale (Graves, Rutherford). Qualcuno scrive particolarmente bene (adoro Rex Stout!); qualcuno particolarmente male (Graves, nonostante fosse un poeta più che discreto e un interessante saggista di nicchia, come narratore rasenta l'indecenza...). Tutti, comunque, fanno "fatica" e meritano rispetto.
Il mondo anglosassone conosce poi un secondo genere di "scrittore commerciale", che io definisco "scrittore medio" (e a cui, incidentalmente, sognerei di appartenere...): uno scrittore, cioè, non troppo profondo, dalle trame però solidissime e avvincenti e dallo stile solido e pacato. Uno scrittore che, senza volare verso vette inaccessibili, scrive però buoni, solidi romanzi, piacevoli per chiunque e, sopratutto, leggibili a più di un livello (affascinanti per un lettore "rozzo" così come per uno "esperto"). Qualche nome? Somerset Maugham, Daphne de Maurier, Rumer Godden... D'accordo, sono scrittori anni '30-'50. Però Joanne Harris è attuale, e la vedo perfettamente ascrivibile alla categoria.
E' sotto quest'ultimo profilo che la situazione italiana mi pare particolarmente disastrosa. Noi abbiamo buoni o discreti scrittori commerciali di genere (Camilleri, Lucarelli, Carofiglio, e infiniti altri che non mi vengono in mente...), ma gli scrittori "medi", decisamente, ci mancano. Qualcosa di decoroso si muove forse sotto il profilo del "romanzo storico moderno" (penso alla biografia romanzata di Tintoretto della Mazzucco, o all'ultimo della Morazzoni) ma non è ancora abbastanza. Certo il nostro accentuato regionalismo è un grosso problema: come si fa a scrivere una storia "universale" in un paese in cui le atmosfere, i sapori, i modi di parlare, di comportarsi, di relazionarsi con gli altri sono così diversi? Ma insomma, non è poi una questione insormontabile. Il problema vero - quello che fa imbufalire me come, probabilmente, molti di noi - è invece la crescente, disastrosa predilezione dei nostri compatrioti per romanzi la cui professionalità, francamente, mi sfugge (poichè trama, stile e tecnica tutto sono fuorchè solide) e la cui unica caratteristica dominante mi sembra essere alternativamente o la (descrizione della) lagna o (la descrizione de) il degrado. Alcuni degli autori di questi bestsellers, poi, invece che limitarsi a festeggiare i loro invidiabilissimi successi, si lamentano a gran voce di non essere considerati dalla critica come quei grandi artisti che invece sarebbero secondo la loro alterata percezione - il che potrebbe farci sorridere, se non fosse che anche questo contribuisce alla percezione di "paese culturalmente impazzito" che chiunque di noi ha.
Il problema, comunque, va affrontato. Da chi? Da noi, in primo luogo, come produttori di libri. So di avere delle posizioni "antiquate", ma credo che sia necessario tornare all'idea di "educazione" del gusto del lettore...
Ultima modifica di Vassilissa il Gio 23 Set 2010, 14:23 - modificato 1 volta.
Vassilissa- Inchiostro Bianco
- Messaggi : 35
Re: Letteratura commerciale
Vassilissa ha scritto:Apro questa discussione perchè, mi sembra di comprendere, in questo forum le posizioni a riguardo di chi "scrive per vendere" sono estremamente radicali: da un lato, vi sono coloro che aspirano all'arte per l'arte, alla Letteratura, ecc., e sputano sui bestsellers; dall'altro, coloro che beatificano chiunque abbia la capacità di superare le 20000 copie. Io mi sentirei invece di proporre una posizione "centrista", che vado ad esporvi.
Io credo che siamo tutti un pò "centristi", per usare il tuo termine.
Per quanto mi riguarda, mi riterrei io (e probabilmente anche tutti gli altri e a buon ragione) oltremodo presuntuosa se cercassi di scrivere un libro cosiddetto di "cultura?", o comunque rivolto a lettori dai quaranta in su... ma anche dai trenta.
Quindi, lettori che hanno dai vent'anni in su in più di me...
Pertanto, se rivolgermi a un pubblico di adolescenti, fa di me un'aspirante di romanzi prettamente commerciali e di bassa qualità... bene, lo sono. E hai ragione te...
Ma io non mi ci sento.
Scheggia- Inchiostro Verde
- Messaggi : 824
Re: Letteratura commerciale
...Io però non credo che la giovane età sia un barrage per scrivere buoni romanzi rivolti a chiunque - queste stupidaggini possono essere sostenute solo da personalità tediose e depresse (Yehoshua, nella fattispecie: grande scrittore, ma Gesù, quando parla di teoria della scrittura...!) che sembra non desiderino altro che scoraggiare i talenti precoci. E Radiguet, allora? E Safran Foer? O il nostro Moravia, se è per questo? Tutta gente che ha pubblicato splendide cose appena (o neanche) passata la ventina. Perciò, cara Schegggia, fossi in te non mi porrei proprio dei limiti; ma correggerei quel "pò" con l'accento invece che con l'apostrofo prima che passi di qui Tormento a dire che "ti ama molto"....
(...io, di mio, avevo scritto "descriziione" con due i...) Chissà cosa dirà Tormento
Vassilissa- Inchiostro Bianco
- Messaggi : 35
Re: Letteratura commerciale
Vassilissa ha scritto: ma correggerei quel "pò" con l'accento invece che con l'apostrofo prima che passi di qui Tormento a dire che "ti ama molto"....
Non ho la "o" con l'accento sulla mia tastiera... dovrei andare a ricercarla su word, ma non ho voglia. Sono pigra xD
Tormento, mi perdonerà...
...meglio per lui che mi perdoni
Scheggia- Inchiostro Verde
- Messaggi : 824
Re: Letteratura commerciale
Ah, dimenticavo!
Io non sono un Radigue, un Moravia o un Foer... crescerò gradualmente
Io non sono un Radigue, un Moravia o un Foer... crescerò gradualmente
Scheggia- Inchiostro Verde
- Messaggi : 824
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