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Messaggio Da MaZz Mar 10 Set 2013, 19:36

È notte fonda.
Ho le palpebre socchiuse, in attesa. Riesco a scorgere il movimento di due piccole figure luminose che si rincorrono per la stanza: uno scherzo ricorrente dei miei poveri occhi stanchi. Nella mente prendono vita sprazzi di ammonimenti che non riesco a decifrare. Immagini intrecciate di premonizioni nefaste mi appaiono davanti per poi espandersi nelle tenebre, veloci come un’eco. Una presenza silenziosa giace sul mio ventre. La sento, avverto il suo peso. Non riesco più a muovermi. Ho provato tante volte a liberarmi dalla sua morsa invisibile, ma ogni mio sforzo si è rivelato vano. Ho anche cercato di gridare aiuto, ma dalla mia bocca non è mai uscito un filo di voce. Vorrei accendere la lampada sul comodino e scoprire le sue fattezze. Ammesso che ciò sia possibile. Ho come la sensazione che la luce possa farla svanire di colpo.
Ho passato troppe notti nell’inquietudine e nella triste rassegnazione a questo terribile appuntamento nel buio. Non riesco a capire cosa voglia da me. Nemmeno adesso che mi striscia addosso come una serpe, intenta a prendere le misure della propria preda. Non aveva mai fatto nulla di simile, prima d’ora. Mi sta avvolgendo. Sento qualcosa attorcigliarsi lentamente intorno alla gola. Forse le lenzuola. Se spalancassi gli occhi, s’infurierebbe con me, lo so bene, ma penso sarebbe l’unico modo per salvarmi dall’inevitabile fine che mi attende. Morto nel sonno. Un modo di andarsene apparentemente casuale, innocuo, plausibile. Chi potrebbe mai sospettare che qualcuno mi abbia ucciso nel cuore della notte? Il mio corpo comincia a sollevarsi dal letto. Respiro a fatica, sempre più in affanno per il nodo che continua a stritolarmi il collo. Tutta la vita mi scorre davanti, e l’unico sentimento che pervade la mia anima è il rammarico per non aver potuto salutare le persone che amo. Sento il viso bagnarsi di lacrime. Scorrono da sé, indipendenti dalla mia volontà, dimentiche del pianto che dovrebbe indurle a uscire dalle loro ghiandole. Mi rimane solo una possibilità: aprire gli occhi.

“Dormi!”

Il sibilo risuona in tutta la stanza, forte come un pugno nello stomaco. Il mio corpo viene scaraventato verso il basso con una violenza inaudita. Picchio la nuca contro la testiera del letto. Forse sono morto, o semplicemente svenuto. Non lo so. Mi guardo intorno, ma non vedo altro che una fitta nebbia bianca. Provo a muovere un passo, sperando di non cadere nel vuoto. Il mio piede trova un appoggio stabile, così decido di andare avanti. Man mano che avanzo, la candida coltre si dirada, fino a svanire del tutto. Finalmente riesco a scorgere qualcosa. Mi accorgo di camminare all’interno di un’antica basilica di cui non ho memoria. Nessuna vetrata che porti luce all’interno. Intorno a me vedo solo fiamme ardenti, bruciano ai piedi delle immense colonne che delimitano le navate e ai due fianchi dell’altare.
Il mio sguardo volge verso la parte superiore del presbiterio. Un colossale angelo di marmo troneggia sulla sacrilega mensa; mi fissa con un ghigno scolpito sul volto, il capo piegato di lato. Le sue ali sono spalancate, infilzate da grosse catene che lo legano ai due principali pilastri dell’abside, in una blasfema posa di crocifissione. Un braccio sollevato in alto, verso il cielo, a indicare l’eterno responsabile della sua condizione, mentre l’altro, proteso verso di me, sembra volermi invitare al suo cospetto. Mi sa che sono morto davvero. Sono forse all’inferno?
“Ti stavo aspettando.”
La voce è gutturale, quasi un ringhio. M’investe in pieno e per poco non mi fa cadere. Si diffonde in tutta la cattedrale come una tempesta improvvisa. Le ardenti luminarie divampano e si allungano verso di me, come arti di anime dannate alla perdizione eterna. Vorrei fuggire, ma una voce mi spinge ad avanzare. Non avere paura, risuona dentro di me. Diamine, chi mai non ne avrebbe? Non avere paura, ripete la voce, rassicurante. Che sia solo un inganno? Non mi è dato saperlo, ma ormai non ho nulla da perdere, visto che sono trapassato. Proseguo il mio cammino, sperando nel profondo di essere ancora vivo, di svegliarmi da questo incubo. L’enorme statua incombe su di me. Vista dal basso incute una paura terrificante. Sento un rumore vicino. Dietro una delle grandi gambe marmoree appare una figura femminile. Indossa un abito trasparente e, sotto il velo, le sue forme suadenti ammiccano ai miei occhi a ogni passo. Si avvicina con movimenti aggraziati, lo sguardo seducente fisso su di me.

“Così va meglio, vero?”

Quella donna l’ho già vista. Ma dove? Eppure mi ricorda qualcosa. Fa parte del mio passato. Un turbinio di immagini mi investe in pieno. La vedo in un confessionale. Il suo volto dietro la grata traforata. Sento i bisbigli dei suoi peccati, delle sue sfrenate fantasie carnali. Ricordo le sue tentazioni quotidiane. La sua insaziabile lussuria. La giusta condanna alla mia cieca anima.
Arretro di un passo. Poi di un altro. M’inginocchio a terra e volgo la mia umile preghiera a Dio, chiedendogli di darmi la forza per respingere il male in cui sono sprofondato. La veste della donna cade a terra, ricoperta dalla moltitudine di serpenti impauriti in cui il suo corpo si è trasformato. Il pavimento cede sotto i miei piedi. Le colonne cominciano a crollare. Una luce accecante irrompe nell’edificio, vestendomi di letizia. Riapro gli occhi. Sono a letto, sono vivo.
Se questo racconto è stato di vostro gradimento, vi sarei infinitamente grato se visitaste la pagina ufficiale sul portale ZeugmaPad, in cui è pubblicato, e diffondiate il link attraverso i social network: http://www.zeugmapad.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=349:succube
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