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LA MIA SBORNIA sez. letteraria “Memorie di una sbornia”

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Messaggio Da Francesca Facoetti Lun 26 Giu 2017, 14:28

In passato posso dire tranquillamente di essere stata un gran ciucchettona, anche se ora sono praticamente astemia.
La mia sbornia più eclatante avvenne l’estate dei miei diciassette anni, quando una sera con amici decidemmo di acquistare una bottiglia di vodka; eravamo in un paesino di montagna e l’unico bar era fortunatamente aperto, giacché io desideravo ubriacarmi.
Ce la passammo tra amici, e guardavo tristemente quel liquido diminuire mentre scendeva nella gola di Alfredo e Sara; Paola invece diede una sorsata appena e le venne da vomitare. Mi shoccai per la poca resistenza e fui al contempo felice: restava più liquido per me.
Negli anni a venire Paola continuò a ricordarmi quella sera, e arrivò anche al punto da disegnarmi con due bottiglie di vodka alla menta in mano… mentre io le facevo notare che era del gusto sbagliato.
Presto tutti si stancarono di bere, e la prediletta bottiglia diventò mia per sempre; Marco ogni tanto ancora bevicchiava mentre camminavamo verso il campo da tennis.
Ma poi alla fine crollò anche lui: mi stupii nel vedere un ragazzo alto e forte crollare addormentato sulla gradinata del campo da tennis, al vederlo sembrava in coma, mentre io continuavo imperterrita a sorseggiare la vodka al melone; il gusto non mi piaceva granchè, ma quello offriva il paesino e comunque il sapore di alcool entrava nelle vene come una droga.
Ricordo la faccia inorridita di Paola, che faceva la spola tra me che ancora stavo bevendo, e Marco che beatamente dormiva sdraiato sulla gradinata del campo.
Provò a svegliarlo ma non vi riuscì; chiese il mio aiuto e le risi in faccia: la vodka iniziava a fare il suo effetto.
Finalmente alle 2 decisi che era l’ora di rientrare: aiutai Paola a svegliare Marco; quando lo toccammo, lui si rigirò dall’altra parte mugugnando; gli dissi che non era possibile che fosse meno resistente di me che ero solo una ragazza… E lui allora tentò di alzarsi.
Rientrammo a onde, con Paola che ci teneva entrambi: Marco che dormiva in piedi, e io che ridevo come una matta.
Gli altri erano rientrati a casa da ore, il loro coprifuoco era la mezzanotte; e forse anche il mio, pensai quando vidi mia madre attendermi davanti alla fontana vicino casa.
Al vedermi ciucca mi afferrò e mi mise immediatamente la testa sotto il getto di acqua fredda di montagna, che scendeva copiosa sulla mia fronte.
Di quel momento non ricordo il freddo acquoso, ma immediatamente mi svegliai dallo splendido torpore della sbronza, e dissi che stavo bene.
Evidentemente biascicavo ancora le parole, perché un secondo getto mi avvolse i capelli e questa volta lo sentii sulla testa: chissà quanto ero stata sbronza prima, per non sentire proprio nulla!
“A casa c’è il papà” disse mia madre, ed il terrore mi colse.
Pensai di stare sognando, e che forse quella fosse l’occasione per dirgli ciò che pensavo di lui.
L’ombra di mio padre si stagliava sotto casa: sembrava un orso arrabbiato, e io pensai di dirgli in faccia ciò che pensavo della sua educazione militare, tanto ero protetta da un sogno!
“Ti odio” urlai a mio padre con tutto il fiato che avevo in gola.
Mi afferrò. E d’improvviso la sbornia cessò, i fumi dell’alcool se ne erano andati, e io vidi Marco svegliarsi, forse a causa delle mie urla.
“Non mi lasciare con lui” implorai, avvinghiandomi al mio amico.
A Marco, ripresosi pure lui dai fumi dell’alcol, toccò caricarmi sulle spalle e portarmi su di peso per tre piani di scale; dietro di lui vedevo nitidamente papà guardarmi con odio; in lontananza la madre di Paola l’aveva raggiunta, schioccandole un sonoro ceffone sul volto.
Marco mi adagiò nel letto, ed il dolce torpore di stare tra le sue braccia possenti si dissolse in un istante nel volto di mio padre, che con fare minaccioso disse: “domani facciamo i conti”.
Mi balenò il terribile pensiero che, forse, non si trattava di un sogno. Poi mi addormentai, e sognai cullata dalla vita le cose più belle del mondo.
“SVEGLIAAA!” fu l’urlo che mi raggiunse nel sogno; mi guardai attorno stordita, ero nel mio letto ed erano le sette di mattina.
L’uomo nero entrò in camera: “la sera leoni, la mattina co…” disse coi suoi soliti modi bruschi.
Durante la colazione, mio padre mi rivolse un perentorio: “dopo io e te andiamo a camminare!”
Mi toccò una camminata di dieci chilometri, mentre mio padre ripeteva che io ero una figlia deludente ma, aggiungeva, lui mi avrebbe raddrizzato a dovere.
Camminavamo alla solita maniera inventata da lui, la figlia davanti ed il padre dietro, in gerarchia.
Circa a metà camminata incontrammo un vecchietto; mio padre gli disse di avere una figlia ciucchettona, che lo riempiva di soddisfazioni (ovviamente era ironico); poi chiese al vecchietto se era il caso che mi desse un calcio, e io guardai speranzosa l’anziano.
“Sì” disse il vecchio malefico, e pam, mio padre mi diede un calcio forte nel sedere.
Per il restante tragitto fino a casa, ogni tanto papà mi dava un calcio, soprattutto se aumentava o diminuiva la distanza tra me e lui (o osavo girarmi per controllare); a volte prendeva una piccola rincorsa.
Giunsi a casa col sedere dolorante, ma conoscendo la sua gioia, mai e poi mai gli avrei dato la soddisfazione di mostrare che soffrivo.
Per i successivi tre giorni, mangiai seduta a tavola stando di poco sollevata dalla sedia; la notte dormivo a pancia in giù, per calmare le chiappe doloranti.
Un paio di mesi dopo mia mamma morì; e a me toccò vivere tre anni interi solo con mio padre; furono gli anni più terribili della vita, e se sono sopravvissuta credo sia perchè esistono gli Angeli.


Ultima modifica di Francesca Facoetti il Mar 27 Giu 2017, 09:28 - modificato 1 volta.

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Messaggio Da AndrewLaeddis Mar 27 Giu 2017, 00:11

Immagino che sia una storia basata su fatti veri. Racconto carino, una narrazione semplice e fluida, anche se in alcuni passaggi ho faticato a capire se si trattava di sogno o realtà perché non mi è chiaro se Marco è il fidanzato, altrimenti come mai l'avrebbe portata nella sua camera da letto con il padre che compare subito dopo. Riesco a capire l'ira del padre ma sono anche comprensivo nei confronti della ragazza, perché ci sono passato. Finale toccante, ma che purtroppo - in questo caso - non si nasconde dietro la maschera del "lieto fine", a seconda di chi guarda. Penso che comunque ci sia del buono nell'ultima frase, un barlume di speranza che tiene a bada i cattivi pensieri. L'ho letto due volte e mi è piaciuto. Andrebbe però revisionato un po'. Per esempio l'espressione "mi shoccai" è davvero brutta. Non lo considero nemmeno un termine gergale, ma solo una parola storpiata. "Furono gli anni più terribili della vita". Sarebbe più corretto "della mia vita". A parte alcuni refusi, è a posto. Smile
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Messaggio Da Macleo Dom 02 Lug 2017, 15:37

Ti segnalo qualche piccolo refuso, così lo correggi: shoccai, granchè  e perchè (accenti sbagliati) e Caminavamo, tutti evidenziabili dal correttore ortografico.
Poi un paio di frasi da rivedere:
“eravamo in un paesino di montagna e l’unico bar era fortunatamente aperto, giacché io desideravo ubriacarmi”. Se non avessi avuto quel desiderio, il bar sarebbe stato chiuso?
“Rientrammo a onde”, frase mai sentita. Forse “ondeggiando”?
Racconto simpatico e godibile, perché tutti da ragazzi siamo passati da qualche esperienza del genere e ne siamo usciti più o meno male. Scritto bene, anche i dialoghi sono plausibili e credibili.
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Messaggio Da Erikakicca Gio 06 Lug 2017, 16:53

Qualche refuso e un inizio poco accattivante da tema scolastico, da diario. Bella la parte centrale. Fine buttata troppo di fretta.

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