Per chi ama Yukio Mishima

Se qualcuno ha letto “Il padiglione d’oro” di Yukio Mishima, è questo. Così come lo ha fatto ricostruire lui a sue spese dopo l’incendio, nel 1955 mi hanno detto. Anche se a dire la verità gli incendi furono due, sempre a cura di giovani monaci zen che con tale gesto invitavano all’umiltà. Naturalmente Mishima da quel gran drammaturgo che era interpretò a suo modo la cosa, la sostanza non cambia, il monastero venne dato volontariamente alle fiamme. E’ in legno ricoperto da lamine d’oro puro. Si trova nella città medievale (medioevo giapponese1150-1600 d.C.) di Kioto. Nei suoi sotterranei vi sono i reliquiari più importanti del Buddismo Zen. E’ costruito sulle rive di un lago e come tutti i paesaggi zen è un’immagine molto suggestiva, il tempio d’oro in una conchiglia di alberi verdissimi che si specchia sulle acque tremolanti del lago, tra ponticelli, piccoli monumenti che durante le feste vengono legati tra loro con grandi nastri rossi e oro, a rappresentare l’unione (le nozze dicono loro) tra il bello, l’antico ed il sublime. Chissà perché in tutte le religioni quando si parla del sacro si perviene sempre ad una trinità. Mi dispiace non aver studiato a fondo la storia delle religioni. Non è facile da dimenticare. Grazie Mishima.

Fin dalla fanciullezza le mie idee in merito all'esistenza umana non si sono allontanate una sola volta dalla teoria agostiniana della predestinazione. Vani dubbi mi tormentavano senza sosta - proprio come continuano a tormentarmi oggi - ma quei dubbi li consideravo semplicemente un'altra forma della tentazione a peccare, e rimanevo inconcusso nelle mie opinioni deterministiche. Mi si era consegnato qualcosa che si potrebbe chiamare, tanto per intenderci, un menù completo di tutti i guai della vita mentre ero ancora in troppo tenera età per leggerlo. Ma non avevo da far altro che stendere il tovagliolo e sedermi alla mensa. Anche la circostanza che oggi mi sarei ritrovato a scrivere un libro bizzarro come questo, era minuziosamente annotata nel menù, e devo averla avuta davanti agli occhi nientemeno che allora.

Mishima, Confessioni di una maschera

Ho seguito le gesta un po' curiose di Mishima quando era ancora in vita. Ero adolescente allora, sapevo ben poco di lui, però, d'istinto, mi sembrava un tipo che vivesse delle grandi contraddizioni. Sono diventato grande e ho approfondito questo personaggio estremo. Ho letto diverse cose di lui, a mio avviso la migliore opera è "Le confessioni di una maschera". In questa tiene a freno la sua passione smisurata per il decadente, e le scopiazzature di D'Annunzio sono meno evidenti. Non bisogna dimenticare che resta un grande della letteratura mondiale, ma non bisogna neanche dimenticare che l'Uomo si è suicidato, per non aver saputo sciogliere, o almeno riuscire a convivere, con le contraddizoni che viveva. La più grande, a mio avviso, è l'omosessualità, così come lui la viveva. Questo l'ha reso troppo fragile nei confronìti della realtà che invece avrebbe voluto.

O forse semplicemente ha deciso che la sua vita dovesse finire quel giorno. Ci ha letto pure quello nel suo menù. Come il Kirillov dei Demoni. Si è riappropriato della sua libertà di scelta. Ricorda Hemingway che si è sparato in una splendida giornata di sole. Chi si sparerebbe in una splendida giornata di sole? Ecco, Hemingway.

A questo punto , secondo me, andrebbe affrontato il tema del suicidio, senz'altro rispettabile come soluzione ma discutibile in quanto evento che assume molteplici aspetti a secondo di chi lo compie e perché lo compie. Lo giudico un tema molto delicato e suscettibile di equivoci, forse per ora basterebbe solo sapere se siamo favorevoli o contrari, se questo poi ha un senso!

Credo che in teoria bisognerebbe essere contrari. Nel senso che le argomentazioni della Chiesa sono ineccepibili: dal momento che la vita non è opera nostra, non può esserlo nemmeno la morte. Noi saremmo in una specie di comodato d'uso, e nel comodato d'uso quello che hai lo utilizzi, ma non puoi distruggerlo. Devi sentire il proprietario prima. Ecco, dovremmo sentire il proprietario prima... Questo in teoria. Poi c'è la pratica. Per esempio, se sto in comodato d'uso in una casa e questa casa mi sta crollando addosso, ho diritto a scappar via o no? Direi di sì, perché altrimenti non è comodato d'uso ma sequestro di persona. E questo è quello che hanno fatto Hemingway e Mishima. Loro non hanno distrutto la loro casa. Loro hanno detto: è la casa che mi sta crollando addosso, poco importa se fosse una loro sensazione o la realtà, e quindi sono scappati via. Comunque argomento complicatiello.

nick mano fredda ha scritto: Poi c'è la pratica. Per esempio, se sto in comodato d'uso in una casa e questa casa mi sta crollando addosso, ho diritto a scappar via o no? Direi di sì, perché altrimenti non è comodato d'uso ma sequestro di persona. E questo è quello che hanno fatto Hemingway e Mishima. Loro non hanno distrutto la loro casa. Loro hanno detto: è la casa che mi sta crollando addosso, poco importa se fosse una loro sensazione o la realtà, e quindi sono scappati via. Comunque argomento complicatiello.

No Nick, in pratica non sono scappati via, ma sono esplosi e implosi insieme alla casa, seppellendo sotto di essa tutte le persone che li volevano bene. Persone che con fatica sono riemerse dalle macerie, piene di ferite sulle pareti dell'anima che non vedranno mai rimarginarsi, perché non si perdoneranno mai di non aver capito, di non essere riuscite a strappare dal loro caro quella bomba pronta ad esplodere.

Ma come si fa a capire se la bomba si è innescata se il ticchettìo è silenzioso?

Questo però è un altro argomento ancora. In Ultimo tango a Parigi c'è il bellissimo monologo di lui alla moglie suicida che parla proprio di questo. Però c'è poco da fare. Se abbiamo un cervello per decidere, vanno accettate le nostre decisioni, tutte quante. Se per Hemingway il cielo azzurro in realtà era nero, va accettato. In fondo, con quello stesso cervello ha scritto grandi cose. Chi decide quando il suo cervello ha sbagliato? Certo, si può provare a far cambiare idea a chi per noi sta sbagliando. Convincerlo che il cielo è davvero azzurro. E' complicato, però. Se fosse semplice, la penseremmo tutti allo stesso modo, no? Tutti estasiati dal cielo azzurro. (E probabilmente Dostoevskij non avrebbe scritto un rigo!)


PAUL - Un marito, anche se vivesse duecento anni, non riuscirà a capire nulla sull'esistenza vera di sua moglie. Conoscerò il mondo, l'universo, ma non scoprirò mai la verità su di te. Mia moglie chi era? I primi tempi ti dicevo: parto domani, mi prepari il conto. Invece restavo. Era un modo come un altro per farti la corte. Sono rimasto cinque anni. Ho visto tutti quei corpi putrefatti dal sonno, quelle gole sudate, quei ventri gonfi... Clienti. Ospiti, dicevi tu. Anch'io per cinque anni più che un marito sono stato un cliente dell'hotel, un ospite, niente di più. Un ospite privilegiato. E' questo il matrimonio? E l'adulterio? Un'altra istituzione, Marcel. Per farmi capire mi hai lasciato in eredità Marcel. Un amante che è il doppio di tuo marito, in una camera che è il doppio della nostra camera, abitudini uguali alle nostre... Non ho avuto il coraggio di chiedergli se anche i vostri vizi erano il doppio dei nostri... Il matrimonio. Una tana. E' bastato un rasoio, una vasca piena d'acqua... Tu povera puttana disgraziata, stronza schifosa, sei peggio della peggiore troia che sia esistita. E sai perché? Perché hai mentito. Hai mentito con me... Avanti! Dimmi che non hai mentito, parla, sorridi, povera stupida! Coraggio, dimmi qualcosa di dolce, sorridimi e dimmi che sono io che sbaglio, maledetta troia, bugiarda vigliacca, cagna... Rosa, amore mio, perdonami... Non lo so perché l'hai fatto... Lo farei anch'io se capissi... Vorrei saperlo per poterlo fare...

Di lui mi ha parlato molto bene mio cugino, tra l’altro mi ha consigliato di leggere la sua opera “Sole e Acciaio”: qualcuno di voi la conosce?